Insegniamo il codice binario a scuola
Come si può parlare di transizione digitale, quando su La Stampa di mercoledì 15 settembre si legge un articolo dal titolo “Scuola, oltre il codice binario c’è di più” dove un noto filosofo, accademico e psichiatra mette in guardia dagli eccessivi entusiasmi per la digitalizzazione nelle nostre aule?
«La scuola – si legge nell’articolo – e quindi il futuro della società sono troppo importanti per essere affidati ai fanatici delle neotecnologie e ai fabbricanti di computer e di software. Quando si vede il mondo dell’istruzione lanciarsi entusiasticamente nella digitalizzazione della scuola […] il minimo che si possa chiedere è un momento di riflessione e l’assunzione di un atteggiamento critico. I giovani di oggi sanno dire solo «sì» e «no» perché hanno imparato dal computer a ragionare con il codice binario 0/1».
Personalmente, dubito che i giovani abbiano imparato a ragionare con un «si» o un «no» a causa della malefica influenza del codice binario. Anzi, penso che la maggior parte di essi non sappia neppure cosa sia la matematica booleana, ed è un vero peccato, perché l’insegnamento della programmazione informatica abituerebbe al ragionamento logico per risolvere problemi complessi.
Penso invece che la tendenza a ragionare per categorie manichee sia piuttosto radicata nella civiltà occidentale da ben prima dell'avvento del computer, ed oggi esaltata dalla predominanza dei canoni culturali anglosassoni nel campo dei mezzi di intrattenimento e comunicazione.
Secondo l’Istat, neppure la metà dei cittadini italiani raggiunge un livello almeno basilare di competenze digitali. Gli studenti privi di basi informatiche di oggi saranno i lavoratori analogici di domani, inevitabilmente legati a documenti cartacei, firme autografe ed altri strumenti che stanno già assumendo un sapore vagamente medioevale. Questa strategia ci sta rendendo sempre meno competitivi nel contesto internazionale: ad esempio la Cina, che da tempo ha introdotto l’informatica nei programmi scolastici, sta ora raccogliendo i frutti della sua scelta.
Nelle nostre scuole si continua invece a tradurre il buon vecchio Cicerone: non siamo in grado di firmare digitalmente un documento, ma continuiamo a chiederci fino a quando Catilina abuserà della nostra pazienza.
Da Berlino, da Pechino e dalla Silicon Valley ci guardano e, purtroppo per noi, ridono.