Da Chernobyl a Fukushima: quale futuro per il nucleare?
La possibile via di fuga |
Nel 1986, in una zona palustre del fiume Pripyat, in Ucraina, si verificava il più grave incidente nucleare della storia, l'unico al livello 7, il massimo previsto dalla scala internazionale di rischio: il 26 aprile esplodeva il reattore 4 della centrale «Vladimir Lenin», più tristemente nota come Černobyl'.
I morti furono 4000 [1], ma alcune organizzazioni hanno conteggiato altre decine di migliaia di persone, se non milioni, perite in seguito all'assunzione di radiazioni [2].
La radioattività rilasciata dal reattore durante quell'evento è tuttora presente nell'ambiente terrestre, e costituisce una piccola parte della radiazione ionizzante che assorbiamo tutti i giorni.
Venticinque anni dopo, è in corso il secondo incidente nucleare per gravità dopo Černobyl' [3]: a Fukushima, nel moderno e tecnologico Giappone, il nocciolo di una centrale ha accusato una parziale fusione a causa del malfunzionamento dei sistemi d'emergenza in seguito ad un violento maremoto.
Si sono verificate alcune esplosioni con emissione di materiale radioattivo, ma non si può neppure escludere che parte di quest'ultimo sia stato intenzionalmente rilasciato nell'atmosfera, nel disperato tentativo di ridurre la pressione interna dovuta all'evaporazione del refrigerante.
È stata creata una zona di alienazione con un raggio minimo di 20 km attorno alla centrale, e circa 200.000 persone sono state evacuate dalle loro abitazioni. Fino a Tokyo, a 250 km di distanza, sono state rilevate radiazioni 10 volte superiori alla norma. Gli stranieri sono stati invitati a lasciare il paese.
Ma non era una situazione, in termini simili, già vissuta in passato?
Le reazioni internazionali sono state quasi unanimi: la Direzione Energia della Commissione europea ha chiesto l'immediata verifica di tutte le centrali sul nostro continente, e la Germania ha precauzionalmente spento i sette reattori più vetusti. Nel frattempo, anche alla luce della reiterata fallacità degli impianti nucleari, la comunità mondiale si interroga sulla sostenibilità della produzione di energia atomica nel lungo periodo, e sull'opportunità di destinare i relativi investimenti alle fonti rinnovabili come il solare termico e fotovoltaico, l'eolico, le biomasse e la geotermia.
L'Italia invece, va sempre in controtendenza: all'indomani della tragedia giapponese, in un editoriale del Corriere della Sera [4] si legge: «Perché non è possibile rinunciare all'atomo? Perché, anche se non potremo liberarci ancora per lungo tempo dalla dipendenza dal petrolio, è vitale diversificare le fonti di energia e quella atomica resta, dopo petrolio e gas, la più importante». Non è invece stato considerato che il nucleare potrebbe essere progressivamente sostituito dalle fonti rinnovabili insieme ad una politica energetica volta alla gestione efficiente delle risorse.
Come fattore tranquillizzante, l'autore dell'articolo ha aggiunto questa argomentazione a favore della sua tesi: «la schiacciante maggioranza delle centrali giapponesi ha resistito benissimo» (sic!), accompagnata ad una geremiade sul fatto che «sembriamo voler rifiutare anche i rischi che pure sono intrinseci allo sviluppo tecnico-scientifico».
Infine ha concluso: «Ciò che non va è l'irrazionalità di chi, pretendendo l'impossibile, ossia eliminare il rischio, rinuncia semplicemente a vivere».
Probabilmente per ora, gli unici che hanno rinunciato a vivere, sono i tecnici della centrale di Fukushima, che volontariamente hanno deciso di rimanere al lavoro per tentare, pur contaminandosi, di evitare il peggio.
Noi invece dobbiamo pensare a vivere meglio, per lasciare un mondo pulito ai nostri successori. Le alternative alle centrali nucleari esistono, e si chiamano fonti rinnovabili. Chiediamo solo che siano utilizzate.
Note
1. stima ufficiale ONU
2. stima Verdi Europei: 30.000-60.000; stima massima Greenpeace: 6.000.000
3. L'agenzia giapponese per la sicurezza nucleare ha, con una valutazione di livello 5, probabilmente sottostimato la gravità dell'evento. Numerose altre agenzie invece, fra le quali quelle di Stati Uniti, Francia e Finlandia, sono concordi nel considerare il disastro di Fukushima a livello 6 della scala INES.
4. La paura e la ragione, 16/03/11.